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Lorenz Oken (Hrsg.): Isis

Non bastò ai Tedeschi d’ investigare dottamente l’ esistenza di Omero: vollero che divenisse loro cittadino. E la traduzione del Voss è riputata somigliar l’ originale più di qualunque siasi fatta in altro linguaggio; perchè egli adoperò il ritmo degli antichi: e affermano che il suo esametro tedesco seguita di parola in parola l’ esametro greco. Io credo che tale traduzione sia efficacissima a farci precisamente conoscere il poema antico; ma dubito che abbia potuto travasarsi nella lingua tedesca tutto intero quel poetico, che le regole non insegnano, e gli studj non imparano. Rimarranno le quantità sillabiche; ma l’ armonia de’ suoni come può essere la medesima? La poesia tedesca perde il suo naturale suono, premendo di passo in passo le orme del greco; nè per tanto può intonare quel verso musicale che si cantava sulla lira.

Tra tutte le moderne lingue l’ italiana è la più acconcia per imprimere tutti i sentimenti e gli affetti dell’ Omero greco. Ella veramente non ha lo stesso ritmo: nè l’ esametro può capire nelle lingue che oggidì si parlano; poichè le sillabe lunghe e le brevi non hanno punto di quella misura che appo gli antichi le notava. Nondimeno dalle parole italiane risulta un’ armonia alla quale non bisognano spondei nè dattili; e la costruzione grammaticale di quella lingua è capace di una perfetta imitazione de’ concetti greci. Ne’ versi sciolti il pensiere, nulla impedito dalla rima, scorre liberamente come nella prosa, serbando tuttavia la grazia e la misura poetica.

L’ Europa certamente non ha una traduzione omerica, di bellezza e di efficacia tanto prossima all’ originale, come quella del Monti: nella quale è pompa ed insieme semplicità; le usanze più ordinarie della vita, le vesti, i conviti acquistano dignità dal naturale decoro delle frasi: un dipinger vero, uno stile facile ci addomestica a tutto ciò che ne’ fatti e negli uomini d’ Omero è grande ed eroico. Niuno vorrà in Italia per lo innanzi tradurre la Iliade; poichè Omero non si potrà spogliare dell’ abbigliamento onde il Monti lo rivestì: e a me pare che anche negli altri paesi europei chiunque non può sollevarsi alla lettura d’ Omero originale, debba nella traduzione italiana prenderne il meglio possibile di conoscenza e di piacere. Non si traduce un poeta come col compasso si misurano e si riportano le dimensioni d’ un edificio; ma a quel modo che una bella musice si ripete sopra [102] un diverso istrumento: nè importa che tu ci dia nel riratto gli stessi lineamenti ad uno, purchè vi sia nel tutto una eguale bellezza.

Dovrebbero a mio avviso gl’ Italiani tradurre diligentemente assai delle recenti poesie inglesi e tedesche; onde mostrare qualche novitè a’ loro cittadini, i quali per lo più stanno contenti all’ antica mitologia: nè pensano che quelle favole sono da un pezzo anticate, anzi il resto d’ Europa le ha già abbandonate e dimentiche. Perciò gl’ intelleti della bella Italia, se amano di non giacere oziosi, rivolgano spesso l’ attenzione di là dall’ Alpi, non dico per vestire le fogge straniere, ma per conoscerle; non per diventare imitatori, ma per uscire di quelle usanze viete, le quali durano nella letteratura come nelle compagnie i complimenti, a pregiudizio della naturale schiettezza. Che se le lettere si arricchiscono colle traduzioni de’ poemi; traducendo i drammi si conseguirebbe una molto maggiore utilità; poichè il teatro è come il magistrato della letteratura. Shakspear tradotto con vivissima rassomiglianza dallo Schlegel, fu rappresentato ne’ teatri di Germania, come se Shakspear e Schiller fossero divenuti concittadini. E facilmente in Italia si avrebbe un eguale effetto: poichè i drammatici francesi tanto si accostano all’ italiano quanto Shakspear al tedesco: nè parmi a dubitare che sul bel teatro milanese non fosse gradita l’ Atalia, se i cori fossero accompagnati dalla stupenda musica italiana. Mi si dirà che in Italia vanno le genti al teatro, non per ascoltare, ma per unirsi ne’ palchetti gli amici più famigliari e cianciare. E io ne conchiuderò che lo stare ogni dì cinque ore ascoltando quelle che si chiamano parole dell opera italiana, dee necessariamente fare ottuso, per mancanza di esercizio, l’ intelletto d’ una nazione. Ma quando Casti componeva i suoi drammi comici, e quando Metastasio adattava così bene alla musica que’ suoi concetti nobilissimi e graziosissimi, non era minore il divertimento, e molto profitto ne faceva l’ intelletto. In questa continua ed universale frivolezza di tutte le pubbliche e private radunanze, dove ognuno cerca l’ altrui compagnia per fuggire sè stesso e liberarsi da un grave peso di noia, se voi poteste per mezzo a’ piaceri mescere qualche util vero, e qualche buon concetto, porreste nelle menti un poco di serio e di pensoso, che le disporrebbe a divenir buone per qualche cosa.

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Lorenz Oken (Hrsg.): Isis. Brockhaus, Jena 1817, Seite 101–102. Digitale Volltext-Ausgabe bei Wikisource, URL: https://de.wikisource.org/w/index.php?title=Seite:Isis_1817_51.jpg&oldid=- (Version vom 11.10.2018)